La nuova tassonomia europea risveglia dibattiti sopiti

Il dibattito sul nucleare in Italia torna con una ciclicità regolare e, stavolta, ad innescarlo è stata l’Europa con la sua proposta di una nuova tassonomia verde, in cui sono inserite tra le fonti green anche il nucleare e il gas. Un tema caldo in un ambiente già bollente per via degli aumenti sul costo dell’energia, registrati negli ultimi mesi.

Pertanto, in attesa che il Governo prenda una posizione ufficiale che disinneschi (o forse no) il confronto politico interno alla maggioranza, proviamo a valutare la questione prendendo in esami alcuni dati e raffrontandoli con l’attuale politica intrapresa dall’Italia sulle rinnovabili.

Energia: Nucleare ritorno al futuro…

Come spesso accade, a volte ritornano. Il tema del nucleare in Italia è come la moda, torna con regolarità ciclica a riempire le pagine, le agende e le tribune politiche.

Stavolta, la scintilla che ha riacceso l’interesse e il dibattito sul ritorno del nucleare in Italia, è stata la nuova proposta di tassonomia verde dell’UE con cui si decidono le linee di investimento (centinaia di miliardi di euro nei prossimi 10 anni) e programmazione della strategia energetica dei 27 Paesi, che includerà nel mix energetico di fonti green anche gas e nucleare.

Naturalmente, parliamo di un dibattito che si è assestato su un livello puramente politico, con affermazioni che benché provengano da partiti di maggioranza non rappresentano, finora, reali indicazioni di natura strategica del Governo.

Tuttavia, una posizione univoca e ufficiale dell’Italia dovrà forzatamente emergere nelle prossime settimane (così come già fatto da molti altri Paesi come Austria, Danimarca e Germania), se non altro all’interno del Consiglio Europeo e dell’Europarlamento che si dovranno esprimere sul provvedimento.

Pertanto proviamo, in questa sede, a calarci nel dibattito, dilettandoci in un mero esercizio di stile e isolandoci dal batillage causato dalle posizioni strumentalmente politiche.

Il contesto offerto dal quadro energetico italiano è noto, il nostro Paese è indietro e la nostra dipendenza energetica dall’estero rimane elevata rendendoci il più grande importatore di energia elettrica al mondo con il 73% del fabbisogno soddisfatto dalle importazioni nette (dati 2020)

Ma guardiamo alcuni macrodati

Tuttavia, se ci soffermiamo ad analizzare alcuni dati sugli investimenti dell’Italia negli ultimi anni nel settore della produzione energetica da fonti rinnovabili, ci appare chiara la strada che il nostro Paese ha intrapreso, o sta cercando di intraprendere, come emerge dall’ultimo Rapporto delle attività 2020 di GSE.

A ciò si aggiunga che il PNRR, che allo stato attuale rappresenta il piano strategico del prossimo quinquennio, prevede all’interno della Missione 2 la Componente “Energia rinnovabile, idrogeno, rete e transizione energetica e mobilità sostenibile” con uno stanziamento di oltre 23 mld di euro finalizzati all’aumento della quota di produzione di energia da fonti rinnovabili, il potenziamento delle infrastrutture di rete e la promozione della produzione e dell’utilizzo dell’idrogeno (solo per quest’ultimo sono stati previsti di 3,19 mld di euro).

Una strategia premiante ma anche ambiziosa, considerato il contesto iniziale italiano, come sottolineato anche dal report Recai (EY Renewable Energy Country Attractiveness Index), che pone l’Italia al 13° posto in una graduatoria di 40 Paesi che prende in considerazione la capacità di attrarre investimenti e offrire opportunità di sviluppo nel settore delle energie rinnovabili.

Quindi che fare con la nuova tassonomia? In realtà l’inclusione del gas potrebbe anche fare il gioco dell’Italia che ha previsto all’interno del proprio mix energetico anche 48 progetti di centrali a gas, che avranno una capacità di 20mila megawatt e richiederanno una spesa di circa 10 miliardi di euro, al fine di sostenere la rete elettrica del futuro. Tuttavia, a causa delle caratteristiche stringenti imposte dall’UE questi progetti potrebbero, paradossalmente, non accedere a investimenti e finanziamenti “verdi”.

E il nucleare?

Proviamo a partire dai fatti: ogni centrale nucleare produce, in media, 1 GWe di energia, ma qual è il costo?

Se noi volessimo, per un attimo, ignorare il problema rappresentato dal dibattito pubblico e gli investimenti in costruzione del consenso così da sovvertire il risultato del referendum dell’87, e attenerci ai soli conti di costruzione e produzione, questi soffrirebbero un impietoso confronto con le altre fonti rinnovabili con la bilancia a favore di quest’ultime a causa di un rapporto di circa 4 a 1.

Difatti, la produzione nucleare deve sottostare a molteplici voci di costo che sono influenzate da numerose variabili. Mi riferisco in particolar modo a due fattori che determinano un incremento dei rischi di investimento e, a catena, costi del finanziamento più marcati: Costo e Tempo.

Nella prima rientrano gli alti investimenti iniziali, che si aggirano a circa 6 miliardi di euro, ulteriori costi per ulteriori forme di sicurezza, dovute alla sismicità del nostro territorio, a cui si aggiungono quelli previsti per stoccaggio e smaltimento delle scorie. Nella seconda categoria, invece, si segnalano i circa 10 anni previsti per un reale funzionamento a regime della centrale.

I costi

Quindi facendo un breve riepilogo e un confronto con i dati finora esposti, 1 sola centrale nucleare avrebbe un costo pari a

– circa il 25% della Componente “Energia rinnovabile, idrogeno, rete e transizione energetica e mobilità sostenibile” del PNRR (che ha orizzonte di 5 anni);

– circa il 60% dei 48 progetti sulle centrali a gas;

-quasi il doppio degli investimenti in ricerca e sviluppo sull’idrogeno.

Inoltre in termini di tempo la sua produzione andrebbe a regime, verosimilmente, attorno al 2035. E intanto come l’affronteremmo la cosiddetta “transizione energetica” se pensiamo che solo qualche mese fa il Ministro Cingolani rimarcava la necessità di installare 8 gigawatt di rinnovabili all’anno, per raggiungere l’obiettivo del 72% di fonti pulite al 2030?

Atri fattori chiave

Come se ciò non bastasse è doveroso tenere presente almeno altri 2 fattori esterni ma rilevanti ai fini della nostra riflessione:

-la burocrazia italiana è una variabile (alquanto certa) che influirà sui tempi e pertanto sulla fattibilità di un progetto nucleare; a tal proposito vorrei ricordare lo scontro tra il Ministero della Transizione ecologica e le Soprintenze

-la mancanza di competenze interne adeguate allo sviluppo di una strategia sul nucleare, che quindi ci obbligherebbe a reperire dall’estero non solo le centrali ma anche i tecnici.

Pertanto, pensiamo davvero che sia il caso di soffermarci anche solo a valutare la possibilità di un futuro (dal marcato retrogusto di passato) nucleare alle attuali condizioni, effettuando una inversione a U sulla strada della sostenibilità energetica?

Ho sempre creduto e sempre sosterrò l’importanza e il valore della ricerca continua, in grado di individuare e sovvertire qualsiasi certezza e per tale ragione mi sono sempre ritenuto un “possibilista”. Tuttavia, ritengo allo stesso modo che affinché la ricerca possa creare valore e sviluppo è necessario creare un contesto stabile in grado di alimentarla.

Pertanto sono convinto che determinate scelte strategiche, che influiscono sul futuro di un Paese, debbano fondarsi sulle certezze dell’esistente, non su “puntate” estemporanee, magari dettate anche dalla necessità del consenso. Perché, in fondo, se “Dio non gioca a dadi” perché dovremmo farlo noi?

Energia: Nucleare ritorno al futuro…
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